di Gianni Fava

Storie d’amore e di capponi nella bassa padana

Stavolta voglio parlare di una storia fantastica che si è svolta in questi vent’anni nell’oltrePo mantovano. Siamo a San Giacomo delle Segnate. In uno dei luoghi lombardi più distanti da Milano. In quel pezzo di emilia lombarda che sta a sud del grande fiume e che di fatto rappresenta una miscela esplosiva di culture e tradizioni.

In questo luogo infatti una ventina di anni fa un uomo che già fu allevatore di bovini, passato all’allevamento avicolo, non abbia accettato la logica della dipendenza dalle grandi aziende mangimistiche che dominavamo  la scena della fiorente zootecnia local.  Egli scelse di compiere un gesto, ai più incomprensibile, che ha segnato  una svolta importante per se e per il suo territorio.  Un gesto che potremmo definire eroico e in controtendenza.

Il cappone in vescica altro non è che un piatto incredibile  tratto da un’antica ricetta dell’Artusi, che in epoca rinascimentale lo preparava cuocendolo in una vescica di bue infilzato in una canna di sambuco. Piatto che al mondo si può gustare solo qui. Non conosco nessun altro che lo proponga in carta. Forse perché necessita di lunga e attenta cottura, appeso ad un filo sospeso in acqua che ribolle lentamente. Mestiere complicato per cuoca abile e paziente. E Raffaella lo è senza dubbio. Talmente abile da aver legato la sua fama ad un altro prodotto tutt’altro che banale come accennavo: la mostarda mantovana.  E qui fra mele campanine della bassa, pere cotogne e frutta di tutti i tipi, l’estro
della rasdora si sublima. Ho avuto l’onore di avere “Le Caselle” fra gli ospiti ed espositori e del festival della mostarda a Mantova ai tempi in cui lo ideai e realizzai. Ho un ricordo indelebile dell’entusiasmo di Gianfranco e della passione di Raffaella per quella iniziativa di successo.

Gianfranco Cantadori e la moglie Raffaella Gangini, scelsero di chiudere l’esperienza con l’allevamento intensivo di capponi e ridurre drasticamente la produzione di animali, riconvertendo tutta l’azienda a tecniche ecosostenibili. E così hanno attrezzato (recintandolo) un bosco dove i volatili potessero scorrazzare liberi e nutrirsi di bacche rosse, biancospino, finocchio selvatico, noci e ghiande, integrandone l’alimentazione con mais antichi prodotti nei 7 ettari di terreni di proprietà.  Scegliendo di allevare pochi animali selezionati e di grande qualità direttamente ai privati macellandoli nel piccolo laboratorio all’interno dell’azienda.

Animali che andavano prenotati con largo anticipo e che spesso non era facile comunque accaparrarsi.  Così in questo bosco in un’area periurbana a ridosso del piccolo abitato di San Giacomo si possono trovare: capponi, anatre, oche mute, galletti, galline e tacchini selvatici. Insomma in campionario del mondo avicolo di tutto rispetto.

Gianfranco ha vissuto la sua passione con estro poetico ed entusiasmo inguaribile. Quante chiacchierate con lui sono per me un ricordo prezioso.

Purtroppo Gianfranco ci ha lasciato colpito da un male incurabile. Soprattutto ha lasciato la sua Raffaella, la sua “rasdora”, come amava definirla scherzosamente. La sua regina e la regina di questo angolo di mondo che risponde al nome di “Corte Caselle”.

Nel suo regno Raffaella continua con grande tenacia e la determinazione di una donna forte della bassa quale è, a portare avanti il sogno suo e di Gianfranco. Che l’ha amata e coinvolta in un’avventura che a tratti poteva sembrare una follia. Ma che folle non era per nulla. E lei vincendo il dolore e la fatica ha deciso di continuare nel solco dell’impegno di questi ultimi anni a mantenere viva la fiammella di un sogno.

Un sogno che peraltro in realtà si è concretizzato parecchio. Alla attività agricola la famiglia Cantadori Gangini ha unito una fiorente attività di ristorazione e di divulgazione. Raffaella è stata invitata in giro per il paese a raccontare le proprie ricette e i propri cavalli di battaglia. Su tutti il famosissimo e rarissimo “cappone in vescica” o “cappone dei Gonzaga” e le ormai celeberrime mostarde. Piatti iconici della tradizione padana che hanno lasciato il segno.

Furono fra i primi a crederci (ed inizialmente erano pochi) a dimostrazione della lungimiranza che ha accompagnato il percorso anche imprenditoriale di questa famiglia. Ora tocca a Raffaella portare avanti il tutto. E farlo da sola siamo certi sarà più impegnativo e difficile.  Ma tutti quelli che conoscono quella realtà fanno il tifo per lei e per il grande progetto che ha ereditato. Viva “Le Caselle” e la sua bella storia di amore e di capponi!